Tratto dal 1° Convegno Nazionale
CIVITELLA ALFEDENA – 16/17 Giugno 1990
Il Cane Corso
Caratteristiche e contributi per la definizione dello standard.
di Flavio Bruno
Sin dai tempi antichi il corso lo si ritrova accanto all’uomo cacciatore, al pastore, accanto al grande proprietario terriero ed al macellaio. II compito del corso si è dimostrato insostituibile nella caccia, nell’allevamento di una razza animale in particolare: quella dei suini. Per migliaia d’anni la carne di maiale ha occupato un ruolo preminente nella nutrizione dei popoli europei; sia inizialmente quando si trattava di verri selvatici, sia più tardi come animali domestici. II corso ebbe dapprima la funzione di cacciatore della forma selvatica, il cinghiale e poi come vigilante della forma domestica, il suino. Gli allevatori di suini ebbero di certo necessità del suo prezioso ausilio, in particolar modo per tenere a bada animali particolarmente riottosi. Quando l’allevamento del suino in Italia era praticato a sistema brado, il compito del cane era quello di vigilante (e quindi difendere i suini contro l’orso, il lupo, la lince, i cani vaganti, randagi e inselvatichiti, ed i… ladri); e di custode. Quando un suino scappava nel bosco o nella macchia, il compito del Cane Corso era quello di scovarlo, inseguirlo e bloccarlo prendendolo all’orecchio o al grugno e trattenerlo fino all’arrivo dell’uomo; oppure attaccare il verro quando questo si dimostrava minaccioso per l’uomo.
Non infrequentemente all’epoca dei calori delle scrofe, vicino ai suini si avvicinavano i giovani maschi di cinghiali, in queste occasioni il cane dava la caccia al cinghiale e spesso riusciva ad avere la meglio. Il pastore in tali occasioni aizzava i cani i quali, riuscendo ad abbattere il cinghiale, procuravano della carne ottima e fresca per loro e per l’uomo. Ancora oggi si allevano maiali rustici, eccellenti pascolatori, instancabili camminatori che trascorrono buona parte dell’anno pascolando nella macchia o nel bosco e la stagione estiva sulle stoppie di cereali o sui maggesi. Quando l’alimentazione spontanea (radici, tuberi, ghiande e castagne) abbonda,
producono carne ottima. Le regioni ancora interessate, anche se limitatamente, al sistema di allevamento brado, sono quelle dell’ltalia centro- meridionale sulle quali spesso si osserva all’inizio dell’estate una forma di tran- sumanza inversa alla ovina, cioè dal monte al piano per il pascolo delle stoppie, come avviene in Capitanata tra Gargano, Sub-appennino dauno e Tavoliere. Tra le specie di animali domestici la suina è caratterizzata dal ciclo riproduttivo più breve e dall’alta prolificità (con 6, 9, 12 e più maialini per parto, verificandosi anche casi di scrofe che ne partoriscono persino 20). Quando tutto procedeva per il meglio i lattonzoli potevano essere svezzati anche bruscamente senza risentirne. Le madri, se mantenute in forma, presentavano i calori dopo pochi giorni e potevano essere nuovamente coperte. (I suini sono fra gli animali domestici i più rapidi ed economici trasformatori di alimenti vegetali in carne e grassi). I maialini più gracili che le madri non riuscivano ad allattare erano destinati ai cani, così come gli invogli fetali, che si evitava di far mangiare alla scrofa, la quale poi poteva manifestare tendenza al cannibalismo, soprattutto nei casi di alimentazione carente di proteine e vitamine. Inoltre nell’allattamento i maialini più forti e prepotenti nel tentativo di accaparrarsi istintivamente le mammelle pettorali più ricche di latte, mordono i capezzoli (i maialini nascono con i canini ed i cantoni) provocando la brusca reazione della madre che si muove scompostamente, con tale reazione la scrofa spesso schiaccia o uccide addirittura qualche piccolo. Anche questa carne era destinata ai cani. II corso nell’allevamento brado e con un animale con la pelle spessa e coriacea rivestita di setole, massiccio (può superare i 200 kg.), aggressivo, il cui verro ha la stessa pericolosità del cinghiale, era un ausilio prezioso ed insostituibile. Erano questi cani che spiccavano per la risolutezza del carattere in quanto abituati a dominare animali collerici e pericolosi. Nell’habitat della macchia mediterranea il cane poteva procurarsi liberamente tutto ciò che la macchia e il bosco offrivano (roditori, tassi, pesci di laghi e fiumi ed anche frutta) e quindi integrare l’alimentazione che gli veniva offerta dall’uomo: gli scarti della macellazione, carne immatura (feti ed animali troppo giovani morti naturalmente), placenta ed animali morti per traumi vari, ed il “pane canino”. Fino a 30 o 40 anni fa vi era in alcuni paesi del meridione un tipo di lavoro svolto da un personaggio molto caratteristico il quale era in grado con l’aiuto di un solo o al massimo di una coppia di cani corso di portare a “guardia” i suini di un intero paese. Alla ricorrenza della prima fiera di bestiame dell’anno ogni famiglia comprava uno o più maialini che di notte venivano ricoverati in stalla. Al mattino di buona ora il “porcaro” girando per le strade del paese raccoglieva tutti i suini e li portava a “guardia”, vale a dire li portava a pascolo nel bosco o nella macchia vicina; quindi dalla mattina alla sera il porcaio era in grado di pascolare anche cento maiali; nelle lunghe ore, giornate e mesi sempre assieme si stabiliva tra cane e padrone una reciproca comprensione ed affiatamento ed è nel duro lavoro di custodia che il corso rivelava la sua acutissima intelligenza e la sua resistenza fisica. Ogni sera sistematicamente l’uomo e il cane, mettendosi ai lati del gruppo di suini (“morra”), li indirizzavano verso il paese; ogni suino tornava alla propria casa ove i proprietari erano ad aspettarli per integrarne l’alimentazione con crusca e sfarinati vari e ricoverarli la notte nella stalla. Tutto ciò procedeva fino al mese di agosto in ricorrenza delle grandi fiere estive del bestiame quando i proprietari vendevano i suini o li ingrassavano per macellarli nel mese di dicembre. La tariffa del porcaio era in natura, cioè per ogni maiale riceveva un “tomolo” (45 kg) di grano oppure tre “mezzetti” (70 kg) di granone. II grano era l’elemento basilare (ed a volte l’unico) della dieta alimentare del tempo. II grano, macinato nei vecchi mulini a palmento, era setacciato separando la farina dalla crusca (“caniglia”). La massaia impastava (“mmassava”) la farina trasformandola in pane. Dopo aver fatto il pane utilizzato dall’uomo, a tutti i resti della prima lavorazione, si univa un certo quantitativo di crusca ricavando altro pane chiamato “apane canino” destinato al cane, che si cucinava in forni a paglia insieme al pane utilizzato dall’uomo. II quantitativo di pane ” canino” prodotto era regolato in base al numero di cani posseduti e doveva essere sufficiente per circa una settimana. I primi ad apprezzare e selezionare il corso, servendosi della valida opera di “pratici” furono i baroni, i conti ed i grandi proprietari terrieri che ammiravano le doti di robustezza, di carattere, di volontà ed aggressività di tale animale. Su due animali in modo particolare costoro puntavano; il cavallo ed il cane. II primo in quanto indispensabile per gli spostamenti per il traino ed i vari tipi di lavoro; il secondo in quanto si rivelava insuperabile come guardiano della loro persona e dei loro beni. II corso era utilizzato da costoro come cane da guardia e da caccia, in particolare per il cinghiale. II corso faceva la guardia alle loro ville, nei loro poderi, masserie ed in particolare la guardia contro i ladri di cavalli. Nei loro terreni incolti avevano allevamenti bradi di branchi di cavalli (come avveniva in diverse regioni centro-meridionali ed insulari) basti pensare alle grandi masserie ad indirizzo cerealicolo-zootecnico ed alla trebbiatura “a pie’ d’animale” fatta dai cavalli fino a qualche decennio addietro. Erano allevati cavalli meso-dolicomorfi (ove si esprime velocità e potenza). Questi cavalli erano utilizzati per i servizi da sella e caccia. Era un classico mesomorfo il cavallo “murgese” che si alleva in purezza da secoli (pur non potendosi documentare le tappe della sua formazione fino al medioevo è dimostrato storicamente che la razza risale al 16° secolo regnando gli aragonesi a Napoli). Cavallo, questo, rotto a tutte le fatiche, collaudato dalla nascita in un ambiente collinare, boscoso, allevato a sistema brado. Nelle Murge nel periodo 1495-1530 la Repubblica di Venezia aveva il suo importantissimo allevamento di cavalli. Logicamente il cavallo era in quel periodo l’animale più richiesto, e di conseguenza era soggetto alle attenzioni di ladri di bestiame e degli zingari; quindi in un tipo di allevamento brado, era indispensabile un cane ardito, tenace e di tempra, che era in grado di giorno e soprattutto di notte di tenere lontano dai branchi di cavalli qualsiasi malintenzionato. I cani “corso” preferiti dagli allevatori erano soprattutto quelli a manto nero oppure nero con chiazze bianche al petto e lista in fronte. Con tale tipo di manto il cane, soprattutto la notte, era mimetizzato e pronto ad azzannare senza abbaiare, poteva avere la meglio contro un ladro armato. Inoltre i proprietari terrieri nei loro spostamenti con le carrozze da una città all’altra o da una regione all’altra portavano il corso come difesa personale. Succedeva spesso di dover pernottare in aperta campagna ed il cane prendeva posto sotto la carrozza, e ben mimetizzato vegliava, pronto a scattare con- tro chiunque poteva rappresentare una minaccia contro il suo padrone.
II corso era utilizzato da questi anche per la caccia, soprattutto al cinghiale. Costoro contribuirono alla diffusione del corso regalandolo ad amici o parenti delle altre regioni italiane che ne apprezzavano le grandi qualità.
II corso lo troviamo ancora accanto al cavallo poiché era utilizzato anche dai carrettieri che trasportavano grano ed altre derrate, di giorno e di notte lungo le strade in aperta campagna. Un tempo veniva utilizzato anche come accompagnatore delle antiche diligenze, vicino alle quali serviva da scorta durante i lunghi viaggi. II corso lo troviamo nella transumanza accanto al pastore a protezione degli ovini e dei caprini, assieme al classico cane da pastore “il mastino” (il pastore abruzzese). La forma di transumanza comprende la piccola transumanza (verticale)
e la grande transumanza (orizzontale). La prima avviene con brevi spostamenti stagionali (esempio tra il Matese e il Basso Molise) i greggi svernano nelle aziende di fondo valle ed estivano nei pascoli montani. In questo tipo di transumanza, il gregge viene accompagnato al pascolo dai pastore abruzzese (il mastino) invece il corso era alla catena con il sistema dell’anello scorrevole nel cavo d’acciaio a guardia della masseria di giorno (assieme al volpino) e la notte, dopo che il gregge era negli ovili, a guardia dell’ovile. La grande transumanza interessava l’ovinicoltura del mezzogiorno. I greggi trascorrono sette mesi al piano da novembre a maggio, durante i quali danno il massimo dei prodotti (agnello, latte, lana) e cinque mesi in montagna da giugno a ottobre. I trasferimenti si effettuano a piedi sulle famose vie erbose (i tratturi nel continente e “trezzene” in Sicilia). I più antichi rapporti fra l’economia della pianura e della montagna si sono stabiliti nei sistemi Pugliese-Appenninico: fra il Tavoliere di Puglia (antica Daunia o Capitanata) ed Appennino Molisano-Abruzzese (Matese- Maiella-Gran Sasso). In questo tipo di transumanza assieme al “mastino” i pastori che andavano con i greggi nelle parti più interne del Matese-Maiella o Gran
Sasso portavano alcuni cani “di attacco” in quanto queste zone erano quelle più fre- quentate dall’orso. Quando, in alcune zona montane, l’orso assaliva un gregge, i cacciatori locali ne organizzavano la caccia poiché era facile che l’animale, spinto dalla fame e avendo già mangiato carne di pecora, avrebbe attaccato il gregge. La caccia era crudele e selvaggia: gli uomini arrivati in zona a cavallo slegavano i cani e li seguivano a cavallo (anche per proteggersi dall’orso), i cani seguivano le tracce dell’orso, lo scovavano e lo assalivano; la lotta terminava con la morte dell’orso o dei cani. Durante la transumanza da zone cosi diverse, i cani venivano a contatto con altri cani. I pastori effettuavano gli accoppiamenti con i soggetti più tipici, ciò era importantissimo in quanto si evitava la consanguineità che, notoriamente, contribuisce a indebolire un ceppo razziale. Nelle varie forme di transumanza il contatto ripetuto del molosso con il mastino diede origine al cane da pastore abruzzese verace”, sorto dall’incrocio del Cane Corso con il pastore abruzzese. Quando ampie zone della nostra penisola non erano ancora bonificate il sistema brado era molto diffuso e i bovini podolici pascolavano in aree molto vaste, venivano allevati nel vasto disforme ambiente litoraneo adriatico-ionico che va dal basso Veneto all’Abruzzo, Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Calabria. II corso era impiegato dagli allevatori di bestiame, dai mediatori di bestiame e soprattutto dai macellai. I soggetti più tipici che spiccavano per la risolutezza del carattere abituati a dominare animali cosi pericolosi erano quelli impiegati dai macellai per custodire le mandrie. Questi soggetti accompagnavano i macellai sia nelle fiere che nelle campagne e “masserie” dove costoro si recavano per comprare il bestiame, quindi erano degli ottimi cani da difesa e di attacco a comando; erano sempre in grado di difendere l’uomo contro altri animali (cani, ecc.) e ladri di bestiame, e, a comando, di bloccare sia il toro infuriato che il bufalo o il verro che scappava o aggrediva.
Nelle fiere inoltre i cuccioli di Cane Corso venivano da questi venduti o barattati. In passato (ed ancora oggi se ne vede qualcuno) li si poteva trovare da soli in questo ambiente a guardia di 20-30 capi che ne indirizzavano il cammino; in tale circostanza il cane non permetteva a nessuno di entrare nei loro territori di guardia Quando un altro animale pericoloso per la mandria veniva avvistato nelle vicinanze, veniva attaccato e spesso l’assalto avveniva in coppia ed era spietato: uno lo assaliva prendendolo per il collo bloccandolo e l’altro soggetto senza esitare e con precisione lo prendeva alla fossa del fianco e tirando in senso opposto lo sbranavano. II tutto in un lasso di tempo di 5-10 minuti dopo che uno dei due cani corso era riuscito a prendere l’avversario al collo. Nel periodo in cui gli animali venivano portati al macello, il corso doveva bloccare il toro, per avere sotto controllo la mandria in quanto questi animali cresciuti allo stato brado avevano la stessa pericolosità degli animali selvatici. II cane in queste circostanze aveva l’abilità di affrontare anche il toro infuriato, approfittando di un momento favorevole per addentarlo al musello, zona molto dolorosa, punto debole del toro, e lo bloccava. Quindi, dovunque c’era questo tipo di allevamento, era indispensabile il Cane Corso. Spesso nelle fiere di bestiame il toro infuriato che provocava danni e paura e la comparsa del cane che si lanciava incontro al toro, lo inseguiva o attirava su di se la sua ira dando la possibilità agli uomini di intervenire senza alcun pericolo, bloccandolo all’orecchio o al musello, affascinava e stupiva la gente presente. Lo spirito combattivo del Cane Corso veniva e viene sfruttato anche per il combattimento tra cane e cane come avviene ancora nelle zone della Campania, Puglia e Sicilia. II corso e un cane robusto e rustico; la sua formazione, il suo allevamento ed il suo impiego erano intimamente connessi alla economia agricola. Era quindi largamente diffuso; è diventato tipico delle regioni centro- meridionali dove le aziende agricole sono rimaste organizzate su un vasto territorio e l’allevamento del bestiame è stato condotto in modo brado e semi-brado. In questo ambiente ideale si è evoluto, si è diffuso e continua ad essere presente. Dai numerosi e diversi impieghi nei quali e stato utilizzato per tanti anni,
il Cane Corso si è rivelato uno dei più idonei sia alla guardia che alla difesa.
Flavio Bruno.
Cimplimenti articolo veramente bello e interessante.